Homo Metropolitanus vs Homo Conscium
L’Homo Metropolitanus vive in città. Si alza alle sette di mattina e mentre si reca in bagno per espletare i suoi bisogni fisiologici, ha già acceso lo smartphone e controllato i suoi 15 account social a cui è collegato.
Fa colazione, si lava, si veste e salta in macchina per recarsi al lavoro. Ascolta la radio nel traffico, imprecando contro gli altri automobilisti. Poi arriva in ufficio, dove trascorre le prossime otto ore della sua giornata chino davanti allo schermo di un pc, sotto le luci di una lampada al neon. L’Homo Metropolitanus sa rispondere a 150 mail al giorno, fare presentazioni in powerpoint, ed eseguire tutti gli ordini del suo capo senza chiedersi troppi perché.
Quando ha terminato il suo lavoro, risale in macchina, un po’ più incazzoso di prima, e per sfogare il nervoso della lunga prigionia in ufficio, guida con una mano sul volante e l’altra che digita rapida sul touchscreen dell’iphone, controllando contemporaneamente quattro chat di WhatsApp. È abilissimo a scegliere un emoticons per ogni occasione, ma raramente sperimenta l’energia di un vero sorriso scaturito dall’incontro di due sguardi. Scrive frasi poetiche su Facebook, ma fa sempre più fatica a dire: “Grazie. Scusa. Ti amo”.
Prima di tornare a casa, fa un salto in palestra. Si chiude tra quattro mura pieni di specchi (danno forza al suo ego) e macchinari, e corre come un criceto sul tapis-roulant, incurante del meteo che fa là fuori, con le cuffie del suo ipod nelle orecchie.
Poi fa la spesa al supermercato. Mentre parla ancora sul telefonino, infila nel carrello quello che c’è sugli scaffali, secondo la voglia del momento. In caso di indecisione, il prezzo è ciò che determina la sua scelta.
Infine arriva a casa. Scalda qualcosa nel forno a microonde e lo mangia di fretta, con gli occhi fissi sulla televisione. Non si capisce bene se il suo nutrimento sia ciò che ha nel piatto o ciò che il tubo catodico gli vomita addosso come se fosse Vangelo.
Poi si corica a letto e, stremato da due ore di zapping, spegne la luce e punta la sveglia alle sette, pronto per ricominciare una nuova giornata.
L’Homo Metropolitanus non si chiede alcun “perché”. Vive secondo quanto la società gli suggerisce e gode quando può uniformarsi alla massa, evitando il rischio di isolarsi. Crede di essere libero, ma solo perché non si è mai fatto domande su cosa sia davvero la libertà. Dal momento in cui ha acceso il cellulare o il televisore, ha spento il cervello. Tuttavia, l’Homo Metropolitanus ha una grande fortuna. Può godere della tecnologia e delle conoscenze della sua Era e ha la possibilità di salvarsi se solo riuscisse a trasformarsi in Homo Conscium.
L’Homo Conscium fa le stesse cose dell’Homo Metropolitanus, ma le fa in modo cosciente. Rifiuta ogni automatismo, ha un’ottima memoria del passato, che usa per interpretare il presente, e non perde occasione di porsi domande come un bimbo curioso.
L’Homo Conscium vive in città. Si alza alle sette di mattina e prima di espletare i suoi bisogni fisiologici apre le finestre di casa per guardare il cielo. Se è una bella giornata, è contento, perché sa che potrà lasciare la macchina a casa e andare al lavoro in bici. Guadagnerà in salute, risparmierà qualche euro di benzina e qualche incazzatura nel traffico, e contribuirà a mantenere un po’ più pulita l’aria della sua città.
Guardando il cielo ogni mattina, l’Homo Conscium sa distinguere un cielo naturale da un cielo artificiale. Se a novembre c’è ancora un clima estivo, questo lo vede anche l’Homo Metropolitanus. Ma l’Homo Conscium sa anche riconoscerne il perché. Perché osserva e ricorda, e sa che l’aumento della temperatura non è dato solo da qualche scoreggia di un motore VolksWagen che produce un po’ più di anidride carbonica della media. È dato da quel cielo artificialmente privato di nuvole.
Anche l’Homo Conscium è collegato ai suoi 15 account social. Se non lo fosse, sa che sarebbe fuori dal mondo. Ma a differenza dell’Homo Metropolitanus, ha il tempo di chiedersi se quello che legge è vero o no. Nel dubbio, cerca le proprie risposte consultando più fonti e, quando può, indaga di persona.
L’Homo Conscium fa colazione, si lava, si veste e si reca al lavoro.
Anche lui dovrà piegare la schiena per otto ore e fissare lo schermo led di un videoterminale. Anche lui dovrà eseguire gli ordini del suo capo, ma è ancora capace di dare valore al proprio tempo, prima che al proprio portafoglio. Piuttosto che fare qualcosa che si scontra con i suoi ideali, è pronto a rinunciare a uno stipendio sicuro per dedicarsi a un progetto tutto da costruire, ma che esprime ciò in cui crede veramente.
L’Homo Conscium preferisce spendere il suo tempo libero in mezzo alla natura, dove scopre davvero di essere libero, con poco. Anzi, con niente. Osserva gli alberi, le montagne, il cielo, e filosofeggia sulla vita. Sa che anche la sua esistenza segue la caducità delle stagioni. È nato, è cresciuto, oggi vive ma domani morirà. Questa certezza dà ancora più valore al suo presente, e per questo è attento a non sprecare la sua esistenza. Si gode ogni granello di sabbia che scende dalla clessidra del “suo” tempo, perché sa che non gli è dato di sapere quanto ancora gliene rimane.
Quando mangia, l’Homo Conscium fa attenzione a ciò che ha nel piatto. Non si ingozza mentre guarda la televisione. Mastica lentamente e si gusta ogni boccone ripensando alla fatica che faceva suo nonno contadino mentre lavorava nei campi. Suo nonno ha arato e zappato fino a quando aveva settant’anni. E anche ora che ne ha ottantacinque, non ha bisogno della badante e ogni pomeriggio si reca al bar del paese per gustare un bicchiere di vino e giocare a carte con il Piero, l’Aldo e il Giovanni, gli amici di sempre.
L’Homo Conscium la sera preferisce leggere un buon libro, o stare in famiglia, o incontrarsi con gli amici. La televisione l’ha spenta da quanto ha capito che quella che chiamano “Tv di Stato” in realtà è la “Tv di Governo”: serve solo a creare consensi, confusione e impaurire gli animi, per controllarli meglio.
Quando è ora di dormire, l’Homo Conscium ripensa alla sua giornata. Può capitare che qualcosa sia andato storto, o che qualcosa lo impensierisce, ma in fin dei conti pensa che è contento della sua esistenza, ringrazia, bacia la donna che è al suo fianco e si addormenta consapevole che, nonostante tutto, ogni giorno può coltivare i suoi piccoli o grandi sogni.